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IL CANTO DELLA PASSIONE IN GRICO |
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La più bella tradizione del periodo di Pasqua nei comuni griki di Terra d'Otranto riguarda la consuetudine, un tempo diffusissima, di ascoltare durante la Settimana Santa la storia della Passione di Cristo.
Si tratta di un canto religioso antichissimo redatto in lingua grecosalentina, molto conosciuto e amato nei nostri comuni e tramandato oralmente da padre in figlio da tempo immemorabile.
L'autore del canto è sconosciuto, di Martano furono i primi cantori girovaghi che per 12 giorni, a partire dalla V domenica di Quaresima fino a tutto il Giovedì Santo, portarono la storia della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo in tutte le piazze ed in tutti i vicinati, giungendo fino alle fattorie sparse tra i campi.
I cantori erano spesso due, a volte tre, e cantavano una quartina ciascuno, alternativamente, accompagnando la loro voce col suono mesto della fisarmonica.
Spesso portavano con sé un rudimentale apparato scenico costituito da una larga asta infilata in un disco di legno, del diametro di circa un metro, da cui pendevano tutt'intorno un'infinità di fazzoletti di seta. L'asta era sormontata da una palma benedetta e sui fazzoletti erano attaccate le principali figure della Via Crucis. A seconda dell'episodio che vi era illustrato si girava verso gli ascoltatori la figura relativa. In tempi più recenti tale apparato è stato sostituito da un'asta alla cui sommità è legato un ramo d'olivo ornato da fazzoletti o da nastri di diversi colori.
Della Passione di Cristo si conoscono varie versioni nei comuni della Grecia Salentina, a conferma della grande popolarità di questo canto.
Il contenuto e pressoché identico: le variazioni riguardano essenzialmente la fonetica, il lessico e il numero delle quartine (nella Passione conosciuta a Martano, la più lunga, che riportiamo nelle pagine seguenti, le quartine sono 75).
Vi si parla diffusamente delle sofferenze di Cristo e delle circostanze che lo condussero a morire sulla croce a partire dalla decisione di Dio di sacrificare il suo unico Figlio per la redenzione dell'umanità. Poi si passa a considerare il tradimento di Giuda.. la pavidità di S. Pietro ed il suo pentimento, la condanna di Pilato, la ferocia del popolo, le torture subite dal Cristo, sovrastato dal peso della croce, sulla strada del Calvario. Infine c'è la dettagliata, drammatica descrizione della morte del Cristo e l'annuncio della sua Resurrezione.
Accanto alla gigantesca figura di Gesù, figlio di Dio, in uno scenario totalmente ostile, emerge la presenza umanissima della Madonna, patetica e meravigliosa nel suo silenzioso, disperato dolore. "Come una tortora che si è smarrita, lontana dalle sue compagne", senza nessuno che la conforti e le sia vicino in quei momenti terribili, la Madre cerca il suo unico Figlio, presagendo quanto sta per avvenire; lo vede, infine, legato ad una colonna, mentre lo percuotono con bastoni e lo segue, confusa in mezzo ad una folla eccitata ed inferocita, fino alla crocifissione.
Le ultime quartine augurano prosperità agli ascoltatori e li invitano ad offrire qualche moneta o qualche dono ai cantori.
L'accorato racconto della Passione ha sempre suscitato il vivo interesse e la commossa partecipazione degli ascoltatori; il pianto liberatore ha rigato migliaia di volti alla fine del canto.
Ancor oggi, quando qualcuno dei pochi cantori rimasti si presenta sulle piazze per riproporre l'antico canto, si ricrea spontanea la magica atmosfera che per secoli ha preparato spiritualmente alla Pasqua le nostre popolazioni. |
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LA COREMMA |
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In una rassegna delle tradizioni popolari della nostra terra legate al periodo di Pasqua, un posto di rilievo spetta alla coremma o quaremma sia per la vastissima diffusione che questa figura ha avuto fino a qualche decennio addietro in tutto il Salento, sia per la somma di significati più o meno manifesti che ad essa venivano attribuiti.
La voce coremma (di probabile derivazione dal francese caréme) è l'equivalente, nel nostro dialetto, del termine italiano quaresima, periodo di quaranta giorni, successivo al carnevale, che prepara l'avvento della Pasqua. Nel greco salentino questo periodo è indicato col termine saracostì (dal greco tessarakosth') e saracosteddha è la coremma.
La coremma è un pupazzo raffigurante una vecchia vestita di nero che si esponeva (ancora oggi alcune famiglie conservano questa tradizione) appesa in alto agli angoli delle strade e ai balconi dopo la mezzanotte dell'ultimo martedì di carnevale.
Il pupazzo era stato confezionato nei giorni precedenti da gruppi di vicine di casa tra i quali si instaurava una vera e propria competizione per riuscire ad esporre la coremma più bella. Veniva confezionato, generalmente, nel modo seguente: si predisponeva un telaio di legno alto un metro e mezzo circa, nel quale si infilava, dapprima, una maglia piena di lana e poi un paio di pantaloni, anch'essi con della paglia dentro. Si era così ottenuto il busto completo di braccia e gambe.
Le mani erano costituite da un paio di guanti neri, con all'interno dei fili di ferro, attaccati alle maniche della maglia. Per rappresentare i piedi si utilizzava un paio di calze nere riempite di paglia e attaccate al bordo inferiore dei pantaloni. Alle calze veniva infilato un paio di scarpe nere.
La testa si otteneva avvolgendo della paglia in un pezzo di stoffa chiara e dando all'insieme una forma ovale Gli occhi, il naso e la bocca venivano rappresentati attaccando dei pezzi di stoffa o disegnandoli con vernice nera o carbone. La testa, così confezionata, veniva poi cucita al collo della maglia.
Al fantoccio si faceva indossare una veste nera lunghissima che lasciava intravedere solo le scarpe; la testa veniva avvolta in un fazzoletto nero lasciando scoperto solo il viso, all'altezza della cintola veniva legato un mantile (grembiule) nero e le spalle erano coperte con uno scialle sempre, naturalmente, nero.
La tetra figura era pronta, ma, prima di essere appesa agli angoli delle strade, veniva corredata di alcuni significativi accessori. Sotto un'ascella della corremmo si poneva la conocchia ed in una mano il fuso; nell'altra mano si fissava una patata o un'arancia in cui erano conficcate sette penne di gallina o di altro pennuto. (A volte, l'arancia o la patata veniva appesa ai piedi della coremma ). In alcuni casi questo accessorio veniva sostituito da sette cuddhure o tarallini : in una tasca del grembiule si metteva un gomitolo di lana.
Gli accessori cambiavano da zona a zona, ma il loro significato, come vedremo, è sempre uguale. Possiamo dire che solo la conocchia, il fuso ed il gomitolo di lana erano corredo fisso di tutte le coremme.
Una coremma fotografata a Carpiranno Salentino recava in mano una bottiglia di vino, una forma di pane azzimo, dei lamponi ed una sarda salata.
L'origine della coremma è, secondo alcuni, parto della fantasia e del bisogno di materializzare ogni sentimento; secondo altri è ereditata da riti precristiani di propiziazione connessi al cambiamento di stagione (riti preliminari o di passaggio), nell'uno o nell'altro caso, certo è che questo personaggio è stato vivacemente presente ed ha avuto grande credito presso le nostre popolazioni.
La coremma è la vedova del carnevale e fa la sua mesta comparsa subito dopo la morte del marito. E' vestita di nero in segno di lutto e si accinge ad affrontare una vedovanza dura, priva di mezzi, giacché il marito, scialacquatore, l'ha lasciata in miseria. Deve quindi lavorare per pagare i debiti e per poter vivere: per questo motivo si porta appresso il fuso e la conocchia, simboli tradizionali dell'umile lavoro femminile. Deve sottostare anche a privazioni alimentari: mangerà pane azzimo, lamponi e verdura.
La patata o l'arancia con sette penne di gallina erano un rudimentale calendario per mezzo del quale la coremma poteva tenere il conto delle settimane di privazioni che la attendevano, strappando una penna per ogni settimana trascorsa, stessa funzione avevano le sette cuddhure o i sette tarallini : ne poteva mangiare uno per ogni settimana.
Una curiosa notizia che abbiamo raccolto farebbe pensare che la disperazione della coremma per la scomparsa del carnevale era in qualche modo mitigata da un sentimento di profonda liberazione che si insinuava nel nostro personaggio alla morte del rumoroso marito: a Carpignano esiste, infatti, una fattoria detta masseria delle curemme in cui, secondo la tradizione, tutte le coremme si riunivano per dar vita ad un frenetico ballo subito dopo la fine di carnevale.
La coremma è un'evidente allegoria didascalica: essa serviva a ricordare ai credenti che la Chiesa stava vivendo un periodo di lutto, per cui le feste ed i godimenti erano banditi e si dovevano affrontare giorni di sacrifici e di rinunce.
E' da tener presente, inoltre, una motivazione di ordine pratico che consigliava un'estrema moderazione alimentare: il periodo di carnevale aveva ridotto sensibilmente le già povere scorte familiari di viveri pregiati e occorreva adesso ricostituirle per rendere possibile un lauto pranzo a Pasqua. Era necessario, quindi, astenersi, per tutta la durata della quaresima, dal mangiare carne, uova e formaggi, generi considerati di lusso ( no ccambarare ). Per condire la pasta fatta in casa, si usava la mollica di pane fritta in sostituzione del formaggio grattugiato. |
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